Spagna, 500 martiri per la pace


La maggior parte dei fucilati furono frati e suore. E dopo 70 anni i vescovi scrivono: «Chi morì perdonando è il miglior ossigeno per la riconciliazione» del Paese


Da Madrid Michela Coricelli _ Avvenire, 7 giugno 2007

Vescovi, religiosi, sacerdoti, ma anche laici, giovani sposi, seminaristi, uomini e donne, vittime dell'«odio verso la fede» e del totalitarismo dell'inizio del secolo scorso. «Diedero la vita in diverse località della Spagna nel 1934, 1936 e 1937». Sono i 498 nuovi martiri spagnoli che verranno beatificati il prossimo autunno in una grande ed unica cerimonia a Roma, alla quale potrebbero partecipare centinaia di migliaia di pellegrini.La Conferenza episcopale spagnola (Cee) ha evitato la vecchia definizione di «martiri della Guerra civile». Forse perché consapevole delle probabili polemiche che avrebbe comportato, soprattutto in un momento in cui la memoria storica torna di attualità in politica. Semplicemente, la Chiesa iberica parla di martiri della persecuzione religiosa e sottolinea che il periodo in cui morirono non si limita soltanto al conflitto, perché non sarebbe esatto cronologicamente: nella lista ci sono anche due religiosi uccisi durante le violenze esplose nelle Asturie nel 1934.La maggior parte - per l'esattezza 463 - furono frati e suore. In alcuni casi, vennero fucilati a Paracuellos: una località nei pressi di Madrid, tristemente famosa per un massacro ad opera dei miliziani repubblicani. Ma la Conferenza non vuole scivolare in assurde polemiche storiche o politiche, a oltre settant'anni da quelle vicende. Già l'Assemblea plenaria della Cee, nel 1999, «rendeva grazie a Dio per i risultati del XX secolo e chiedeva perdono per i peccati di quella centuria che arrivava al termine». Fra quei peccati, i vescovi ricordavano «le violenze inaudite» per cui la Spagna e in generale l'Europa furono travolte da «ideologie totalitarie» che «pretendevano realizzare con la forza delle utopie terrene». Ma «i martiri sono al di sopra delle tragiche circostanze che li hanno portati alla morte», assicurano i vescovi in «Voi siete la luce del mondo», il documento con cui è stata presentata la beatificazione. «Nelle guerre ci sono i caduti di uno o dell'a ltro bando. Le repressioni politiche hanno le loro vittime. Ma solo le persecuzioni religiose hanno i martiri», ha spiegato il portavoce della Cee Juan Antonio Martínez Camino. «Frate Bernardo era una buona persona, si comportava bene con i figli dei minatori... ma l'ordine era uccidere sacerdoti e religiosi e incendiare la chiesa e la scuola dei frati. E io lo feci». Sono le parole di Celestino Mediavilla, assassino del marista Bernardo, il primo martire della II Repubblica, ucciso in un paesino asturiano il 5 ottobre 1934. Durante i tragici eventi della «Rivoluzione delle Asturie» fu ucciso anche il carmelitano Eufrasio del Niño Jesus: prima di essere fucilato, fu costretto a una sorta di via crucis «fra gli oltraggi» fino al mercato di Oviedo, dove lo aspettavano per l'esecuzione. «Cosa c'è di meglio che morire per la gloria di Dio?», si chiedeva Enrique Sáiz Aparicio, direttore dei seminaristi salesiani a Madrid, poco prima di essere ucciso. Secondo un testimone, l'ultima frase del vescovo di Cuenca, Cruz Laplana y Laguna, di fronte ai miliziani che stavano per ucciderlo il 7 agosto 1936 - «Vi lascio il corpo, ma l'anima andrà in cielo. Vi perdono e pregherò per voi» - fu ascoltata in assoluto silenzio. Il cadavere del vescovo fu mutilato con un'ascia, secondo la tragica ricostruzione realizzata da José Javier Esparza, nel suo nuovo libro Il terrore rosso in Spagna: storia delle 60.000 vittime assassinate da partiti e sindacati del Fronte Popolare durante la Guerra civile.Risuonano ancora le parole di Giovanni Paolo II, che invitava a non dimenticare la testimonianza dei martiri, perché costituisce un «grande segnale di speranza». Soprattutto - dice la Cee - «in questi momenti in cui, mentre si diffonde la mentalità laicista, nella nostra società la riconciliazione appare minacciata». Il riferimento non è del tutto esplicito, ma è chiaro. La transizione spagnola dalla dittatura di Franco alla democrazia non vive il suo miglior momento, nella m emoria del Paese iberico. Per anni studiata e ammirata in Europa e in America latina, oggi quell'epoca - e il «patto» di convivenza siglato tacitamente dagli spagnoli - viene rivista da molti come una pagina non chiusa della storia del Paese. Da qui le polemiche sulla futura «Legge della memoria storica» del governo di José Luis Rodriguez Zapatero, criticata aspramente anche da intellettuali di sinistra. Che avvertono: non bisogna politicizzare la memoria.Secondo i vescovi, «i martiri, che morirono perdonando, sono il migliore ossigeno affinché fomentiamo lo spirito di riconciliazione». Non solo non dovrebbero essere un fattore di divisione come spesso è accaduto negli ultimi anni, a causa di parziali strumentalizzazioni: i nuovi martiri dovrebbero essere simboli per tutti di una fede grazie alla quale, «nel momento del sacrificio, mostrarono serenità e profonda pace».È pura casualità, ma la beatificazione avverrà proprio durante il centenario della nascita del cardinale Vicente Enrique y Tarancón, presidente della Conferenza episcopale in uno dei momenti più spinosi della vicenda spagnola. Nel 1975, alla morte di Franco, Tarancón - alla guida della Conferenza - preparò i cattolici alla transizione pacifica, passando da un modello di Chiesa vicina al regime alla riconciliazione nazionale e alla coesistenza democratica. Proprio in questi giorni in cui la Spagna ricorda il «cardinale della transizione», un gruppo di sacerdoti delle diocesi di Madrid e Oviedo lavora per sollecitare alla Santa Sede il processo per dichiararlo venerabile, come primo passo per la sua beatificazione.

Commenti