Sleeper cell e il trauma dell'11 settembre


SUPERARE IL TRAUMA DELL'11 SETTEMBRE

Non c'è dubbio, l'11 settembre è stato un evento così sconvolgente per l'America che ben presto si è tramutato in una mitopoiesi, in un trauma superabile solo con la produzione di grandi narrazioni: ci si butta nel racconto per esorcizzare la paura. Sleeper Cell affronta dunque il tema del terrorismo internazionale. I personaggi della serie non sono musulmani provenienti da un Paese lontano, ma cittadini americani, persone perfettamente intergrate nella società, infuocati però al punto da volerla distruggere, dall'interno.

I protagonisti principali sono due. Da una parte, Darwyn AL-Sayeed (Michael Ealy), agente musulmano dell'Fbi, infiltrato con successo all'interno di una "sleeper cell" - una cellula terroristica dormiente - col compito di svelarne le intenzioni più oscure; dall'altra, Faris Al-Farik (Oded Fehr), leader della cellula estremista dalla doppia vita: di giorno ebreo devoto e allenatore di una squadra giovanile di baseball, di sera arabo musulmano che pianifica attacchi terroristici all'aeroporto di Los Angeles. Arabi moderati contro Arabi estremisti.

Prodotta dalla Showtime, Sleeper Cell: American Terror vanta gli stessi produttori di serie tv come Grey's Anatomy, The Shield e I Soprano, un cast d'eccezione ed è stata scritta da Ethan Reiff e Cyrus Voris. Il tema è delicatissimo, specie per una società multirazziale come gli Usa: il pericolo non viene soltanto dal di fuori (guerrieri del recente in Gran Bretagna, il pericolo sono gli immigrati di seconda generazione, fedeli all'Islam ma perfettamente integrati nella società, che tutto d'un tratto si rivelano spietati terroristi. Il racconto non ha sbavature, le psicologie dei protagonisti non soffocano mai l'azione (come succederebbe da noi dove il "male" ha sempre bisogno di una spiegazione), l'insospettabilità fatica a mascherare la paura. In questo sentimento di estenuazione si rivela il senso vero dell'angoscia, che non è lotta contro il nemico ma il dibattersi della vita negli artigli della morte.

(Aldo Grasso, Corriere della Sera, 4 ottobre 2007).

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